Pandemia e guerra in Ucraina, è questo lo scenario di incertezze senza precedenti che il nuovo governo si trova ad affrontare con la manovra economica di fine anno. La prima priorità è la crisi energetica, che spinge l’inflazione, ma grava anche sul livello dei prezzi in modo insostenibile per imprese e famiglie… L’analisi di Pasquale Lucio Scandizzo
La congiuntura economica attuale presenta problemi difficili da affrontare per il nuovo governo per una serie di circostanze mai sperimentate precedentemente.
Stiamo (forse) uscendo da una pandemia che ha completamente rivoluzionato le nostre abitudini, i rapporti tra i cittadini e tra i cittadini e le istituzioni in modi ancora difficili da valutare, perché le loro conseguenze si svilupperanno, più o meno lentamente, nel corso dei prossimi anni.
Inoltre, non sappiamo veramente se siamo fuori dalla emergenza sanitaria: da un lato ci siamo abituati a tollerare le notizie sulle nuove infezioni, sui ricoveri in terapia intensiva e sulle morti, ma il nostro grado di tolleranza è basato più sulla percezione di una comune maggiore tranquillità, che sulla conoscenza di fatti concreti. Il virus finora si è dimostrato incapace di combinare maggiore infettività con maggiore letalità, ma il suo attivismo mutazionale comunque appare allarmante e getta un velo di incertezza sul futuro. Non sappiamo come si evolverà, quali altri pericoli ci attendono e “non sappiamo quello che non sappiamo”.
La guerra in Ucraina ha aggiunto a questo scenario una ulteriore fonte di incertezza e una serie di effetti negativi sulla economia e sugli equilibri personali e sociali ancora tutti da scoprire. Improvvisamente ci siamo trovati di fronte a una esplosione dell’inflazione, a cui anche le banche centrali erano completamente impreparate e a cui hanno reagito, dopo un periodo di incredulo stupore, con una batteria di interventi sui tassi di interesse, forse necessari, che però minacciano di peggiorare la situazione economica in modo pesante, almeno nel breve periodo.
È questo scenario di incertezze senza precedenti che il nuovo governo si trova ad affrontare con la manovra economica di fine anno. La prima priorità è la crisi energetica, che spinge l’inflazione, ma grava anche sul livello dei prezzi in modo insostenibile per imprese e famiglie. È importante sottolineare che l’impatto di questa ascesa dei prezzi è altamente asimmetrico: le imprese energivore e le famiglie più povere, infatti, sono colpite due volte, una prima volta dal fatto che tutti i prezzi dei beni (non quelli dei servizi, o almeno non nella stessa misura) stanno aumentando di ordini del 10-15%. Una seconda volta dal fatto che l’uso dell’energia costituisce una componente molto più rilevante dei bilanci delle imprese di settori specifici (per es. la ceramica, il vetro, ecc.) e delle famiglie più povere.
La teoria economica generalmente distingue due effetti dell’aumento dei prezzi, l’effetto c.d. sostituzione e l’effetto reddito. L’effetto sostituzione consente di attutire l’impatto negativo di un aumento dei prezzi sui bilanci sostituendo il bene il cui prezzo è aumentato con uno o più sostituti. L’effetto reddito misura la perdita in termini di reddito reale al netto delle possibilità di sostituzione. Sia per le imprese (per cui vale una analoga scomposizione), sia per le famiglie è l’effetto reddito che dovrebbe essere l’oggetto di compensazione e non l’effetto sostituzione.
Il fatto che le misure di inflazione generalmente ignorino questa distinzione implica che la perdita di potere di acquisto media è minore di quella stimata dagli istituti di statistica attraverso l’indice dei prezzi al consumo (o del c.d. costo della vita), basato su consumi medi o su famiglie rappresentative, ma questa sovrastima è maggiore per le famiglie con più ampi bilanci e maggiori capacità di sostituzione è minore o negativa per le famiglie più povere. In modo simile, ma più fortemente asimmetrico, aumenti del prezzo di beni di prima necessità come il gas da riscaldamento o la elettricità colpiscono in misura molto più acuta le famiglie che hanno bilanci più modesti con scarsa capienza sostitutiva.
Un ragionamento analogo vale per le imprese, la cui struttura produttiva, ma anche la catena del valore, può consentire maggiori possibilità di sostituzione dell’energia più cara con forme di energia meno cara, e comunque può essere più o meno rilevante a seconda dell’importanza dell’input energetico nella performance dell’imprese. Per alcuni settori che producono o distribuiscono energia, l’incremento dei prezzi comporta addirittura dei guadagni e, come hanno notato in molti (si vedano anche le recenti dichiarazioni di Biden), in alcuni casi, dei grandi extraprofitti.
In ogni caso, i sussidi al consumo di energia, diffusi in tutto il mondo, anche in tempi di stress, tendono a distorcere l’economia, scoraggiando i risparmi energetici e contribuendo all’incremento dei prezzi su scala globale. Inoltre, essi fomentano gli investimenti in combustibili fossili a discapito di quelli in energia rinnovabile. Le sovvenzioni alle famiglie vanno quindi disegnate con cura, distinguendo la componente di sollievo, indirizzata a ridurre l’effetto sul reddito reale, che incide soprattutto sulle famiglie meno abbienti, dalla componente di sostituzione. Le sovvenzioni che incrociano quest’ultima dovrebbero essere modulate in modo selettivo, comminandole attraverso vantaggi fiscali e semplificazioni burocratiche totali. Esse dovrebbero anche essere combinate con incentivi mirati ad intraprendere investimenti di famiglie e di comunità in impianti di energia solare e di efficienza energetica.
Per le imprese, vale un discorso analogo. Non tutte le imprese fronteggiano grandi incrementi di costo dovuti ai maggiori prezzi dell’energia, e dove questi si verificano, essi possono essere controbilanciati per una parte da trasferimenti volti a ridurre (ma non a cancellare) tali aumenti, e per un’altra parte da incentivi a investire in efficienza energetica e in forme diversificate di energia rinnovabile, che dovrebbero essere accessibili per tutte le famiglie e tutte le imprese.
Sia per le famiglie che per le imprese la destinazione di una parte delle sovvenzioni ad investimenti è cruciale. Ciò perché i sussidi non possono essere dati senza limiti di tempo, e, allo stesso tempo, gli investimenti possono fare ciò che non possono fare i sussidi, ossia conquistare spazi produttivi duraturi basati sulla efficienza energetica. In questo momento, inoltre, efficaci incentivi agli investimenti privati sono essenziali perché la stretta monetaria delle banche centrali rischia di scoraggiare in modo determinante gli investimenti produttivi, e di aumentare significativamente il rischio di recessione.
L’efficacia degli incentivi agli investimenti in Italia non è considerata generalmente positiva, con possibili eccezioni per alcune esperienze recenti sui crediti di imposta e, più recentemente, a dispetto delle polemiche suscitate, sul cosiddetto superbonus. A questo riguardo è utile ricordare che nel Maggio del 2021 uno studio congiunto della Luiss Business School e di OpenEconomics aveva attentamente quantificato l’impatto economico di questa misura, prevedendo effetti positivi e rilevanti, che appaiono confermati qualitativamente e quantitativamente dai risultati recenti riportati dall’Ance e da Nomisma.
Il discorso sull’energia coinvolge quindi il discorso più ampio della politica economica del nuovo governo, e delle sorti del Pnrr. Da un lato, le riforme strutturali del piano, tra cui quelle essenziali della giustizia e della concorrenza, non sono toccate dalla evoluzione negativa del quadro internazionale. Dall’altra parte però, sia i costi ipotizzati per i vari interventi, sia la natura e la logica di molti degli interventi stessi devono necessariamente tener conto di uno scenario che sembra sempre più deteriorarsi dal punto di vista geopolitico, oltre che economico, dove domina l’incertezza e incombe l’ombra di sviluppi negativi se non addirittura catastrofici. In questo contesto, il fatto che il Pnrr non sia basato su un disegno complessivo e unificante di politica economica e ispirato a una visione strategica condivisa, ma si affidi pressoché totalmente a progetti proposti localmente da una miriade di operatori pubblici e privati, è un fattore di debolezza. Questo perché al di là delle difficoltà di coordinamento di investimenti basati su aspettative confuse e segnali spesso caotici, e fatti salvi alcuni progetti centralizzati già pronti da tempo sulle infrastrutture, l’aggiornamento di programmi e progetti ancora tutti lontani dalla concreta implementabilità è molto difficile, e, allo stesso tempo impossibile da evitare.
Il problema degli investimenti è inoltre cruciale per intervenire sul fronte dei settori critici: l’energia, la salute, l’ambiente, la ricerca e l’istruzione, per citarne solo alcuni. Questi interventi non si possono limitare agli annunci di costruzioni di infrastrutture, i cui effetti nel breve termine alimentano la spesa e tendono ad aumentare l’inflazione. Essi debbono mirare anche ad effetti concreti e di breve periodo sull’offerta, mobilitando risorse che possono immediatamente diventare produttive, attraverso aumenti di efficienza e di performance delle strutture esistenti, nonché dei comportamenti delle famiglie e delle imprese.
In questo senso vanno le riforme strutturali, quali quella della Pubblica amministrazione completata dal governo Draghi, ma anche la modulazione temporale degli investimenti pubblici e delle risorse del Pnrr dovrebbe tener conto di questa esigenza: anticipare e monitorare gli effetti sull’offerta dei progetti di investimento, facendone una priorità dell’azione di governo.